vineri, 24 mai 2013

Bayern-Borussia, due modi diversi di essere

Bayern-DortmundLa sfida di Londra è la storia contro il presente, la fedeltà dei tifosi di Dortmund contro il calcio tedesco per definizione. Un mix di sogni e riscatti.


Essere il Borussia Dortmund significa essere la terza squadra di Germania per campionati vinti, appena dietro il Norimberga (9) e appena davanti ai detestati vicini di casa dello Schalke 04 (7), superati di recente grazie alla doppietta dell’era Klopp.


Essere il Borussia Dortmund significa non aver conquistato una Bundesliga fino al ’95 (prima erano arrivati i tre titoli di campione della Germania Ovest) e aver costruito la propria storia grazie soprattutto a un luminoso recente.


FILOSOFIA GIALLONERA — Essere il Borussia Dortmund vuol dire approdare alla finale di Champions League raccogliendo i frutti di una politica incentrata sulla valorizzazione dei giocatori fatti in casa, o trovati all’estero a buon mercato. Shinji Kagawa è l’esempio che vale per tutti: 350mila euro al Cerezo Osaka per portarlo nella Ruhr nel 2010, 25 milioni dal Manchester Utd per lasciarlo partire verso la Premier League nel 2012. Robert Lewandowski, 8 reti in questa Champions, è il prossimo della lista: solo pochi anni fa era un attaccante ambito da squadre del livello del Genoa (con tutto il rispetto per il Grifone), ora se lo contendono i top team europei.


DISPETTI — Essere il Borussia Dortmund avere una tifoseria appassionata e fedele come poche altre, ma significa pure rischiare che i tuoi assi vadano al Bayern, per poi ritrovarteli contro. Mario Götze è l’ultima pietra dello scandalo: 37 milioni di clausola rescissoria versati dai nuovi campioni di Germani per portarlo in Baviera, annuncio dato alla vigilia delle semifinali di Champions. Un provvidenziale infortunio muscolare eviterà l’imbarazzo di vederlo in campo a contendere al suo prossimo club il trofeo più importante a livello continentale. Ma essere il Borussia Dortmund significa poter fare a meno anche di talenti fulgidi come lui, perché il giocattolo di Jurgen Klopp funziona a prescindere dai protagonisti.


POTERE — Essere il Bayern, invece, significa essere il calcio tedesco, per definizione. Ha quattro Champions League in bacheca, ma è anche detentore del record di tutti i titoli nazionali: 23 Meisterschale, 15 Coppe di Germania e un vasto assortimento di Supercoppe. Essere il Bayern significa essere il colosso che in patria tutti cercano di affondare, essere perennemente sospeso tra la voglia di primeggiare in Europa e la volontà di non perdere lo scettro in Germania, almeno non troppo a lungo. In questo, il Dortmund di Klopp è un insetto fastidioso (e sempre più faticoso) da scacciare.


RISCATTO — Essere il Bayern significa aver preso la più grande batosta emotiva che una squadra posso subire, ovvero l’aver visto sfumare una finale di Champions League in casa, ai rigori, dopo averla dominata ed essere stati a un passo dal toccarla. Essere il Bayern, però, fa sì che dalle cadute ci si rialzi ancora più forti e arrabbiati di prima: in questa stagione, i bavaresi hanno letteralmente divorato gli avversari, all’interno dei confini nazionali e anche in formato esportazione.


JUPP — Essere il Bayern significa anche vivere dei paradossi, come l’aver programmato il futuro con un giovane Allenatore con la “A” maiuscola, Pep Guardiola, mentre un meno giovane timoniere conduceva la squadra in tutti i porti più prestigiosi in cui potesse approdare. Jupp Heynckes, probabilmente, meritava maggior rispetto. Ma essere il Bayern, spesso e volentieri, significa non guardare in faccia a nessuno.






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